19 Marzo 2013
Qualche anno fa Beppe Grillo fece una battuta riguardo alla mania televisiva di intervistare gli esperti chiedendo loro essere chiari e al tempo stesso di condensare tutto in trenta secondi (all’epoca le parlamentarie con i microvideo per presentare ogni candidato erano ancora di là da venire).
Disse che in trenta secondi l’unica cosa sensata che si potesse fare era guardare nella telecamera e gridare: “Vaffanculo”. Va bene, la risposta non è molto fantasiosa, ma esprime gli effetti collaterali degli inviti alla concisione, alla leggibilità e alla semplicità, che spesso vengono confusi con la chiarezza e con la sintesi. E declinati alla rapidità che sul web diventa molto spesso legge del taglione concettuale.
In questo articolo utilizzerò i diversi termini senza definirli, perché al momento mi interessano gli effetti proprio della confusione di idee, più che i necessari distinguo, che dalla semplificazione del linguaggio portano alla banalizzazione dei contenuti, a un eterno slogan proclamato come un apriti sesamo senza alcun interesse a entrare nel merito.
I consigli dello scrittore
Quasi ovunque mi imbatto nei classici “consigli dello scrittore” per i web writer, ogni volta attribuiti a un padre o a una madre diversi. Mentre mi compiaccio di infrangerli quasi tutti, rimango tuttavia sempre più perplesso nell’incontrarne uno, ripetuto allo sfinimento: “sii breve” e soprattutto “scrivi frasi brevi e usa parole brevi”, o ancora “preferisci le coordinate alle subordinate”.
D’accordo che siamo ormai abituati a una velocità spesso insostenibile, a un ‘tempo reale’ che brucia in pochi minuti ettolitri di informazioni iniettate simultaneamente nel campo visivo e uditivo. Esaltiamo la concisione imposta da Twitter non solo per comodità, ma anche perché sappiamo che l’attenzione è sempre di più una risorsa scarsa. Vogliamo saltare subito alle conclusioni ed è anche legittimo, visto che siamo sommersi di stimoli ben oltre la capacità di assorbirne e di reagire loro.
Eppure, quando si dice “scrivi frasi brevi” non abbiamo ancora detto nulla, esattamente come quando si consiglia di mettere le conclusioni all’inizio (tema che ho trattato nell’articolo precedente). Ripetiamo un meme, che parla per bocca nostra, una cantilena di frasi concise, parole concise, pensieri concisi o del tutto assenti. Le frasi brevi possono essere molto utili al principio del testo, per agganciare il lettore. Devono però sintetizzare un’idea, e questo non si può ottenere con nessuna conta delle sillabe o delle battute (della sintesi parlerò nei prossimi articoli: occorrerà dire anche che spesso non è e non può essere concisa).
Come castrarsi con il rasoio di Occam
Di sole frasi brevi, poi, non si vive: i concetti, a volte (sempre che vi attribuiamo qualche importanza) possono essere articolati e una frase con qualche subordinata può essere paradossalmente più chiara e precisa di due coordinate o di due frasi giustapposte. La Direttiva Baccini sulla semplificazione del linguaggio amministrativo (del 2005) ne è un esempio piuttosto calzante.
In quel documento l’allora Ministro per la Funzione Pubblica elencava in stile piuttosto telegrafico tutti i suggerimenti indicati più sopra, assieme ad alcuni condivisibili (ad esempio, di evitare il passivo) e ad altri molto discutibili (di preferire l’indicativo al congiuntivo o, appunto, le coordinate alle subordinate). Il limite di questi diktat applicati alla lettera è evidente in uno degli esempi di riscrittura proposti, per l’esattezza a pagina 3 del documento, nota 7:
Ad esempio invece di:“Se l’Amministrazione valutasse, sulla base delle leggi in vigore, che non vi fossero le condizioni persoddisfare la richiesta, viene inviata al cittadino, da parte dell’ufficio che detiene l’atto, una lettera appositaper motivare il rifiuto”.Meglio:“L’Amministrazione non accoglie la richiesta. L’Ufficio invia al cittadino una lettera di spiegazione”.
Certo, la prima frase è abbastanza complessa e contiene un passivo evitabile, che nella riscrittura è stato emendato. Tuttavia è abbastanza chiara, perché non può essere interpretata diversamente: se non ci sono le condizioni per soddisfare la richiesta, l’ufficio invia una lettera in cui spiega il rifiuto. È una possibilità, espressa con un periodo ipotetico.
La riscrittura proposta dalla Direttiva, invece, ha la grave pecca di dire tutt’altro. Per non usare congiuntivi e subordinate, giustappone (e si badi, non coordina) due frasi trasformando l’ipotesi in un dato di fatto: l’amministrazione non accoglie la richiesta. All’impossibilità di esprimere nei vincoli il concetto originario, si risponde con il “vaffanculo” citato in apertura di questo post.
Conclusioni provvisorie
Ho utilizzato l’esempio della direttiva volutamente. Anche se si riferisce all’ambito dell’Amministrazione Pubblica, si basa su tutti i consigli che vengono ‘somministrati’ (termine orrendo, ma che rende l’idea) a chi si accinge a scrivere sul web. Ergo, il passo dal diktat ‘scrivi frasi brevi’ a esprimere e ad avere pensieri terribilmente brevi, imprecisi e limitati, può essere estremamente, mi si perdoni il bisticcio, breve.
E allora questo significa che la semplicità dev’essere misurata sull’aderenza concetto espresso (e a ciò che serve sapere al lettore), e mai come un principio astratto in termini di leggibilità puramente meccanica. Altrimenti, perché parlare o scrivere, se continuiamo ad aggirarci nel pascolo del noto per paura di richiedere eccessivo sforzo al lettore?
Ma queste considerazioni implicano anche un’altra conseguenza: che la comprensibilità, la chiarezza e la semplicità si devono fondare su qualcos’altro. Cosa? Lo vedremo nei prossimi articoli. Ma prima dovremo prendere in esame un altro dei totem della scrittura digitale: gli indici di leggibilità.
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